jueves, 9 de mayo de 2013

NASA: Blogs - Spring Data Collection Features a Winter Mix - 09.05.13


Spring Data Collection Features a Winter Mix

May 8th, 2013 by Walt Petersen
The big science highlight so far is that over May 2 through May 4, the GPM Ground Validation team finally collected a coordinated, co-scanned multi-radar frequency and dual-polarimetric dataset with the D3R and NPOL radars and we did it in one of the most complex multi-day precipitation events that we’ll measure in mid and high latitudes – a mixture of rain, snow and sleet.
The NASA D3R radar looking over an Iowa field lightly dusted with snow.
May 3, 2013. The D3R radar, which measures precipitation at similar frequencies as the radar on the GPM Core satellite, measured rain, snow, and sleet at the Traer site in Iowa. Credit: Walt Petersen / NASA
In fact, the snowfall portion of the storm turned out to be a record event for Iowa in May. The fact that D3R and NPOL co-scanned the event is important because you have a longer wavelength, high power reference radar (NPOL) with dual-polarization (both vertical and horizontal scans), and hence enhanced capability to discern specifics on precipitation shapes, sizes and numbers, scanning coincident with a radar (D3R) that carries the same higher frequencies that the DPR radar will carry on the GPM Core Satellite.
The higher frequencies of the D3R are more sensitive, but will often attenuate, or dissipate, faster in the mixture of precipitation we sampled. So, you can test how well you can correct for that attenuation and retrieve the complex precipitation structure from the D3R, which is our proxy for the space-borne radar, against your reference platform, the NPOL. At the same time, we learn a great deal about the precipitation physics when we look at things with 3 different frequencies and in dual-polarization modes.
Map of field locations of IFLoodS instruments. The NPOL and D3R radars are located dead center and a ray of disdrometers and rain gauges stretches southeast toward Iowa City in the bottom right. Other rain sensors are distributed throughout the Turkey River basin in the north east and the south fork of the Iowa river west of Traer. Credit: Iowa Flood Center
Map of field locations of IFloodS instruments. The NPOL and D3R radars are located dead center and a ray of disdrometers and rain gauges stretches southeast toward Iowa City in the bottom right. Other rain sensors are distributed throughout the Turkey River basin in the north east and the south fork of the Iowa river west of Traer. Credit: Iowa Flood Center
Moreover, we did this over a “reference” 100 km-long ray of disdrometers, vertically pointing micro rain radars, and rain gauges – all in all, what will probably amount to a great deal of information to interpret.
From May 1 to June 15, NASA and Iowa Flood Center scientists from the University of Iowa will measure rainfall in eastern Iowa with ground instruments and satellites as part of a field campaign called Iowa Flood Studies (IFloodS). They will evaluate the accuracy of flood forecasting models and precipitation measurements from space with data they collect. Walt Petersen, a scientist based at NASA’s Wallops Flight Facility, is the Ground Validation Scientist for the Global Precipitation Measurement (GPM) mission.




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Poesia: Federico Garcia Lorca in italiano - Ci sono anime che hanno - Prologo - Ballata Interiore - La Lucertola Vecchia - Links





 CI SONO ANIME CHE HANNO...

Ci sono anime che hanno
stelle azzurre,
mattini secchi
tra le foglie del tempo
e angoli casti
che conservano un vecchio
rumore di nostalgia
e di sogni.

Altre anime hanno
dolenti spettri
di passioni. Frutta
con vermi. Echi
di una voce bruciata
che viene da lontano
come una corrente
d'ombre. Ricordi
vuoti di pianto
e briciole di baci.

La mia anima è matura
da molto tempo
e si sgretola
piena di mistero.
Pietre giovanili
rose dal sogno
cadono sull'acqua
dei miei pensieri.

Ogni pietra dice:
«Dio è molto lontano!»


8 febbraio 1920

 PROLOGO

Ecco il mio cuore,
Dio mio,
trapassalo coi tuo scettro, Signore.
È una cotogna
troppo autunnale
ed è marcio.
Strappa gli scheletri
dei lirici sparvieri
che tanto l'hanno ferito
e se hai un becco
togligli la sua scorza
di noia.

Ma se non lo vuoi fare,
non importa,
tienti il tuo cielo azzurro
che è tanto noioso,
il trescone degli astri.
E il tuo Infinito
perché chiederò in prestito
il cuore d'un amico.
Un cuore con ruscelli
e pini,
e un usignolo di ferro
che sopporti
il martello
dei secoli.

E poi Satana mi vuol molto bene,
è stato mio compagno
a un esame
di lussuria e il furbo
cercherà Margherita
me l'ha offerto -.
Margherita bruna,
su uno sfondo di vecchi olivi,
con due trecce di notte
d'estate,
perché io laceri
le sue cosce bianche.
E allora, Signore!
sarò ricco
come o piú di te
perché il vuoto
non può paragonarsi
al vino
con cui Satana saluta
i suoi buoni amici.
Liquore fatto di pianto.
Che importa!
È lo stesso
del tuo liquore composto
di trilli,
Dimmi, Signore,
Dio mio!
Ci sprofondi nell'ombra
dell'abisso?
Siamo uccelli ciechi
senza nidi?

La luce si spegne.
E l'olio divino?
Le onde agonizzano.
Ti piaceva
giuocare come se fossimo
soldatini?
Dimmi, Signore,
Dio mio!
Non giunge il nostro dolore
alle tue orecchie?
Le nostre bestemmie non hanno fatto
babeli senza mattoni
per ferirti, o ti piacciono
i gridi?
Sei sordo? Sei cieco?
O sei guercio
di spirito
e vedi l'anima umana
con toni invertiti?

O Signore sonnolento!
Guarda il mio cuore
freddo
come un cotogno
troppo autunnale
che è marcito!
Se verrà la tua luce
apri gli occhi vivi:
ma se continui
a dormire,
vieni, Satana errante,
peregrino sanguinante,
portami Margherita
bruna tra gli olivi
con le trecce di notte
d'estate,
io saprò accenderle
gli occhi pensierosi
con i baci macchiati
di gigli.
E udrò una sera cieca
il mio Enrique! Enrique!
lirico,
mentre tutti i miei sogni
si riempiono di rugiada.
Qui, Signore, ti lascio
il mio cuore antico,
vado a chiederne un altro
nuovo a un amico.
Cuore con ruscelli
e pini,
cuore senza serpi
e gigli.
Robusto, con la grazia
di un giovane contadino
che attraversa il fiume
con un salto.


Vega de Zujaira, 24 luglio 1920

 BALLATA INTERIORE

                            A Gabriel

Il cuore
che avevo a scuola
dov'era dipinto
l'alfabeto,
sta in te,
notte nera?

(Freddo, freddo,
come l'acqua
del fiume.)

Il primo bacio
che sapesse di bacio e fu
per le mie labbra bambine
come la pioggia fresca,
sta in te,
notte nera?

(Freddo, freddo,
come l'acqua
del fiume.)

Il mio primo verso.
La bambina con le trecce
che guardava di fronte,
sta in te,
notte nera?

(Freddo, freddo,
come l'acqua
del fiume.)

Ma il mio cuore
roso da serpenti,
quello ch'era appeso
all'albero della scienza,
sta in te,
notte nera?

(Caldo, caldo
come l'acqua
della fonte.)

Il mio amore errante,
castello cadente,
di ombre arrugginite,
sta in te,
notte nera?

(Caldo, caldo
come l'acqua
della fonte.)

O grande dolore!
Nella tua grotta
accetti solo l'ombra.
Non è vero,
notte nera?

(Caldo, caldo
come l'acqua
della fonte.)

O cuore smarrito!
Requiem aeternam.


Vega de Zujaira, 16 luglio 1920

 LA LUCERTOLA VECCHIA

Sul sentiero bruciato
ho visto il buon lucertolone
(goccia di coccodrillo)
meditare.
Con la sua verde sottana
di abate del diavolo,
il colletto inamidato
e il portamento corretto,
ha un'aria molto triste
da vecchio professore.
Quegli occhi rinsecchiti
di artista fallito,
come guardano la sera
morente!

È questa la sua passeggiata
crepuscolare, amico?
Usate il bastone, ormai siete
troppo vecchio, don Lucertolone,
e i bambini del paese
vi possono spaventare.
Che cosa cercate sul sentiero,
filosofo orbo,
se il fantasma indeciso
della notte d'agosto
ha rotto l'orizzonte?

Cercate l'azzurra elemosina
del cielo moribondo?

Un centesimo di stella?
O forse
studiate un libro
di Lamartine e vi piaccion
i trilli argentini
degli uccelli?

(Guardi il sole calante,
e i tuoi occhi brillano,
o drago delle rane!
con un fulgore umano
Le gondole senza remi
delle idee passano
l'acqua tenebrosa
delle tue iridi bruciate.)

Forse vieni a cercare
la bella lucertola,
verde come le messi
di maggio,
come le chiome
delle fonti addormentate,
che ti ha disprezzato
e ha lasciato il tuo campo?
O dolce idillio spezzato
sui freschi giunchi!
Ma vivere! che diavolo!
mi siete simpatico.
La frase: «Mi oppongo
al serpente» trionfa
nel vostro gran mento
di arcivescovo cristiano.

Già è svanito il sole
sulla cima del monte
e le greggi
ingombrano la strada.
È ora di andarsene,
lasciate l'angusto sentiero
e non seguitate
a meditare.
Avrete tutto il tempo
di guardare le stelle
quando tranquillamente i vermi
vi mangeranno.

Tornate a casa vostra
sotto il paese dei grilli!
Buonanotte,
caro don Lucertolone.

La campagna è deserta,
i monti sono spenti
ed è vuota la strada:
solo di quando in quando
un cuculo canta
nell'ombra dei pioppi.


Vega de Zujaira, 26 luglio 1920







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Poesia in Italiano:
 



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Ensayo: George Orwell - Por que escribo - Links




Por qué escribo

Desde muy corta edad, quizá desde los cinco o seis años, supe que cuando fuese mayor sería escritor. Entre los diecisiete y los veinticuatro años traté de abandonar ese propósito, pero lo hacía dándome cuenta de que con ello traicionaba mi verdadera naturaleza y que tarde o temprano habría de ponerme a escribir libros.

Era yo el segundo de tres hermanos, pero me separaban de cada uno de los dos cinco años y apenas vi a mi padre hasta que tuve ocho. Por ésta y otras razones me hallaba solitario, y pronto fui adquiriendo desagradables hábitos que me hicieron impopular en mis años escolares. Tenía la costumbre de chiquillo solitario de inventar historias y sostener conversaciones con personas imaginarias, y creo que desde el principio se mezclaron mis ambiciones literarias con la sensación de estar aislado y de ser menospreciado. Sabía que las palabras se me daban bien, así como que podía enfrentarme con hechos desagradables creándome una especie de mundo privado en el que podía obtener ventajas a cambio de mi fracaso en la vida cotidiana. Sin embargo, el volumen de escritos serios, es decir, realizados con intención seria, que produje en toda mi niñez y en mis años adolescentes no llegó a una docena de páginas. Escribí mi primer poema a la edad de cuatro o cinco años (se lo dicté a mi madre). Tan sólo recuerdo de esa "creación" que trataba de un tigre y que el tigre tenía "dientes como de carne", frase bastante buena, aunque imagino que el poema sería un plagio de "Tigre, tigre", de Blake. A mis once años, cuando estalló la guerra de 1914-1918, escribí un poema patriótico que publicó el periódico local, lo mismo que otro, de dos años después, sobre la muerte de Kitchener. De vez en cuando, cuando ya era un poco mayor, escribí malos e inacabados "poemas de la naturaleza" en estilo georgiano. También, unas dos veces, intenté escribir una novela corta que fue un impresionante fracaso. Ésa fue toda la obra con aspiraciones que pasé al papel durante todos aquellos años.

Sin embargo, en ese tiempo me lancé de algún modo a las actividades literarias. Por lo pronto, con material de encargo que produje con facilidad, rapidez y sin que me gustara mucho. Aparte de los ejercicios escolares, escribí vers d'occasion, poemas semicómicos que me salían en lo que me parece ahora una asombrosa velocidad -a los catorce escribí toda una obra teatral rimada, una imitación de Aristófanes, en una semana aproximadamente- y ayudé en la redacción de revistas escolares, tanto en los manuscritos como en la impresión. Esas revistas eran de lo más lamentablemente burlesco que pueda imaginarse, y me molestaba menos en ellas de lo que ahora haría en el más barato periodismo. Pero junto a todo esto, durante quince años o más, llevé a cabo un ejercicio literario: ir imaginando una "historia" continua de mí mismo, una especie de diario que sólo existía en la mente. Creo que ésta es una costumbre en los niños y adolescentes. Siendo todavía muy pequeño, me figuraba que era, por ejemplo, Robin Hood, y me representaba a mi mismo como héroe de emocionantes aventuras, pero pronto dejó mi "narración" de ser groseramente narcisista y se hizo cada vez más la descripción de lo que yo estaba haciendo y de las cosas que veía. Durante algunos minutos fluían por mi cabeza cosas como estas: "Empujo la puerta y entró en la habitación. Un rayo amarillo de luz solar, filtrándose por las cortinas de muselina, caía sobre la mesa, donde una caja de fósforos, medio abierta, estaba junto al tintero. Con la mano derecha en el bolsillo, avanzó hacia la ventana. Abajo, en la calle, un gato con piel de concha perseguía una hoja seca", etc., etc. Este hábito continuó hasta que tuve unos veinticinco años, cuando ya entré en mis años no literarios. Aunque tenía que buscar, y buscaba las palabras adecuadas, daba la impresión de estar haciendo contra mi voluntad ese esfuerzo descriptivo bajo una especie de coacción que me llegaba del exterior. Supongo que la "narración" reflejaría los estilos de los varios escritores que admiré en diferentes edades, pero recuerdo que siempre tuve la misma meticulosa calidad descriptiva.

Cuando tuve unos dieciséis años descubrí de repente la alegría de las palabras; por ejemplo, los sonidos v las asociaciones de palabras. Unos versos de Paraíso perdido, que ahora no me parecen tan maravillosos, me producían escalofríos. En cuanto a la necesidad de describir cosas, ya sabia a qué atenerme. Así, está claro qué clase de libros quería yo escribir, si puede decirse que entonces deseara yo escribir libros. Lo que más me apetecía era escribir enormes novelas naturalistas con final desgraciado, llenas de detalladas descripciones y símiles impresionantes, y también llenas de trozos brillantes en los cuales serían utilizadas las Palabras, en parte, por su sonido. Y la verdad es que la primera novela que llegué a terminar, Días de Birmania, escrita a mis treinta años pero que había proyectado mucho antes, es más bien esa clase de libro.

Doy toda esta información de fondo porque no creo que se puedan captar los motivos de un escritor sin saber antes su desarrollo al principio. Sus temas estarán determinados por la época en que vive -por lo menos esto es cierto en tiempos tumultuosos y revolucionarios como el nuestro-, pero antes de empezar a escribir habrá adquirido una actitud emotiva de la que nunca se librará por completo. Su tarea, sin duda, consistirá en disciplinar su temperamento v evitar atascarse en una edad inmadura, o en algún perverso estado de ánimo: pero si escapa de todas sus primeras influencias, habrá matado su impulso de escribir. Dejando aparte la necesidad de ganarse la vida, creo que hay cuatro grandes motivos para escribir, por lo menos para escribir prosa. Existen en diverso grado en cada escritor, y concretamente en cada uno de ellos varían las proporciones de vez en cuando, según el ambiente en que vive. Son estos motivos:

1. El egoísmo agudo. Deseo de parecer listo, de que hablen de uno, de ser recordado después de la muerte, resarcirse de los mayores que le despreciaron a uno en la infancia, etc., etc. Es una falsedad pretender que no es éste un motivo de gran importancia. Los escritores comparten esta característica con los científicos, artistas, políticos, abogados, militares, negociantes de gran éxito, o sea con la capa superior de la humanidad. La gran masa de los seres humanos no es intensamente egoísta.
Después de los treinta años de edad abandonan la ambición individual -muchos casi pierden incluso la impresión de ser individuos y viven principalmente para otros, o sencillamente los ahoga el trabajo. Pero también está la minoría de los bien dotados, los voluntariosos decididos a vivir su propia vida hasta el final, y los escritores pertenecen a esta clase. Habría que decir los escritores serios, que suelen ser más vanos y egoístas que los periodistas, aunque menos interesados por el dinero.

2. Entusiasmo estético. Percepción de la belleza en el mundo externo o, por otra parte. en las palabras y su acertada combinación. Placer en el impacto de un sonido sobre otro, en la firmeza de la buena prosa o el ritmo de un buen relato. Deseo de compartir una experiencia que uno cree valiosa y que no debería perderse. El motivo estético es muy débil en muchísimos escritores, pero incluso un panfletario o el autor de libros de texto tendrá palabras y frases mimadas que le atraerán por razones no utilitarias; o puede darle especial importancia a la tipografía, la anchura de los márgenes, etc. Ningún libro que esté por encima del nivel de una guía de ferrocarriles estará completamente libre de consideraciones estéticas.

3. Impulso histórico. Deseo de ver las cosas como son para hallar los hechos verdaderos y almacenarlos para la posteridad.

4. Propósito político, y empleo la palabra "político" en el sentido más amplio posible. Deseo de empujar al mundo en cierta dirección, de alterar la idea que tienen los demás sobre la clase de sociedad que deberían esforzarse en conseguir. Insisto en que ningún libro está libre de matiz político. La opinión de que el arte no debe tener nada que ver con la política ya es en sí misma una actitud política.

Puede verse ahora cómo estos varios impulsos luchan unos contra otros y cómo fluctúan de una persona a otra y de una a otra época. Por naturaleza -tomando "naturaleza" como el estado al que se llega cuando se empieza a ser adulto- soy una persona en la que los tres primeros motivos pesan más que el cuarto. En una época pacífica podría haber escrito libros ornamentales o simplemente descriptivos v casi no habría tenido en cuenta mis lealtades políticas. Pero me he visto obligado a convertirme en una especie de panfletista. Primero estuve cinco años en una profesión que no me sentaba bien (la Policía Imperial India, en Birmania), y luego pasé pobreza y tuve la impresión de haber fracasado. Esto aumentó mi aversión natural contra la autoridad y me hizo darme cuenta por primera vez de la existencia de las clases trabajadoras, así como mi tarea en Birmania me había hecho entender algo de la naturaleza del imperialismo: pero estas experiencias no fueron suficientes para proporcionarme una orientación política exacta. Luego llegaron Hitler, la guerra civil española, etc.

Éstos y otros acontecimientos de 1936-1937 habían de hacerme ver claramente dónde estaba. Cada línea seria que he escrito desde 1936 lo ha sido, directa o indirectamente, contra el totalitarismo y a favor del socialismo democrático, tal como yo lo entiendo. Me parece una tontería, en un periodo como el nuestro, creer que puede uno evitar escribir sobre esos temas. Todos escriben sobre ellos de un modo u otro. Es sencillamente cuestión del bando que uno toma y de cómo se entra en él. Y cuanto más consciente es uno de su propia tendencia política, más probabilidades tiene de actuar políticamente sin sacrificar la propia integridad estética e intelectual.

Lo que más he querido hacer durante los diez años pasados es convertir los escritos políticos en un arte. Mi punto de partida siempre es de partidismo contra la injusticia. Cuando me siento a escribir un libro no me digo: 'Voy a hacer un libro de arte." Escribo porque hay alguna mentira que quiero dejar al descubierto, algún hecho sobre el que deseo llamar la atención. Y mi preocupación inicial es lograr que me oigan. Pero no podría realizar la tarea de escribir un libro, ni siquiera un largo artículo de revista, si no fuera también una experiencia estética. El que repase mi obra verá que aunque es propaganda directa contiene mucho de lo que un político profesional consideraría irrelevante. No soy capaz, ni me apetece, de abandonar por completo la visión del mundo que adquirí en mi infancia. Mientras siga vivo y con buena salud seguiré concediéndole mucha importancia al estilo en prosa, amando la superficie de la Tierra. Y complaciéndome en objetos sólidos y trozos de información inútil. De nada me serviría intentar suprimir ese aspecto mío. Mi tarea consiste en reconciliar mis arraigados gustos y aversiones con las actividades públicas, no individuales, que esta época nos obliga a todos a realizar.
No es fácil. Suscita problemas de construcción y de lenguaje e implica de un modo nuevo el problema de la veracidad. He aquí un ejemplo de la clase de dificultad que surge. Mi libro sobre la guerra civil española, Homenaje a Cataluña, es, desde luego, un libro decididamente político, pero está escrito en su mayor parte con cierta atención a la forma y bastante objetividad. Procuré decir en él toda la verdad sin violentar mi instinto literario. Pero entre otras cosas contiene un largo capítulo lleno de citas de periódicos y cosas así, defendiendo a los trotskistas acusados de conspirar con Franco. Indudablemente, ese capítulo, que después de un año o dos perdería su interés para cualquier lector corriente, tenía que estropear el libro. Un crítico al que respeto me reprendió por esas páginas: "¿Por qué ha metido usted todo eso?", me dijo. "Ha convertido lo que podía haber sido un buen libro en periodismo." Lo que decía era verdad, pero tuve que hacerlo. Yo sabía que muy poca gente en Inglaterra había podido enterarse de que hombres inocentes estaban siendo falsamente acusados. Y si esto no me hubiera irritado, nunca habría escrito el libro.
De una u otra forma este problema vuelve a presentarse. El problema del lenguaje es más sutil y llevaría más tiempo discutirlo. Sólo diré que en los últimos años he tratado de escribir menos pintorescamente v con más exactitud. En todo caso, descubro que cuando ha perfeccionado uno su estilo, ya ha entrado en otra fase estilística. Rebelión en la granja fue el primer libro en el que traté, con plena conciencia de lo que estaba haciendo, de fundir el propósito político y el artístico. No he escrito una novela desde hace siete años, aunque espero escribir otra enseguida.
Seguramente será un fracaso -todo libro lo es-, pero sé con cierta claridad qué clase de libro quiero escribir.

Mirando la última página, o las dos últimas, veo que he hecho parecer que mis motivos al escribir han estado inspirados sólo por el espíritu público. No quiero dejar que esa impresión sea la última. Todos los escritores son vanidosos, egoístas y perezosos, y en el mismo fondo de sus motivos hay un misterio. Escribir un libro es una lucha horrible y agotadora, como una larga y penosa enfermedad. Nunca debería uno emprender esa tarea si no le impulsara algún demonio al que no se puede resistir y comprender. Por lo que uno sabe, ese demonio es sencillamente el mismo instinto que hace a un bebé lloriquear para llamar la atención. Y, sin embargo, es también cierto que nada legible puede escribir uno si no lucha constantemente por borrar la propia personalidad. La buena prosa es como un cristal de ventana. No puedo decir con certeza cuál de mis motivos es el más fuerte, pero sé cuáles de ellos merecen ser seguidos. Y volviendo la vista a lo que llevo escrito hasta ahora, veo que cuando me ha faltado un propósito político es invariablemente cuando he escrito libros sin vida y me he visto traicionado al escribir trozos llenos de fuegos artificiales, frases sin sentido, adjetivos decorativos y, en general, tonterías.
 
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